27 Mar UTILIZZO IMPROPRIO DEI SOCIAL NETWORK E LICENZIAMENTI PER GIUSTA CAUSA: UN FENOMENO IN CRESCITA
L’utilizzo costante e in continua espansione dei social network da parte di un pubblico sempre maggiore, può comportare anche dei rischi. È ciò che emerge dalle ultime vicende giudiziarie, in cui vi sono stati episodi di licenziamenti causati proprio dall’utilizzo di queste piattaforme. I social network infatti, vengono a volte utilizzati dagli utenti nelle maniere più disparate, spesso e volentieri anche per parlare di argomenti che riguardano questioni lavorative, senza prestare la dovuta attenzione alle restrizioni o alle possibilità che il proprio pensiero, liberamente divulgato, venga letto dai più.
Le aziende predisposte all’assunzione, e i datori di lavoro stessi, sovente si avvalgono proprio del profilo Facebook del candidato al fine di valutare l’idoneità di questo.
Nei casi di licenziamento per cause dipendenti da post pubblicati in social network, la fattispecie che si assume violata è quella dell’art. 2119 c.c., secondo cui ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
Di conseguenza, la condotta del lavoratore dovrà considerarsi non solo disciplinarmente rilevante, ma anche grave al punto da non consentire, neppure in via transitoria la prosecuzione del rapporto di lavoro. Potrà dunque trattarsi di una frase gravemente offensiva e lesiva dell’immagine del datore di lavoro, o fattispecie di medesima gravità. In relazione alla condotta, verrà applicata la sanzione prevista dai contratti collettivi di lavoro che, generalmente, si dividono in due categorie, quelle meno afflittive, cosiddette conservative, tra cui: il richiamo, scritto o verbale; la multa; la sospensione senza retribuzione, o quelle espulsive, come appunto il licenziamento.
Si è espressa in tal senso la Giurisprudenza “È legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato al lavoratore che nei messaggi pubblicati sul profilo personale di un social network abbia assunto un atteggiamento ostile, denigratorio ed offensivo nei confronti del proprio datore di lavoro e dei propri colleghi, di per sé solo ostativo alla regolare prosecuzione del rapporto di lavoro, peraltro utilizzando espressioni dal contenuto espressamente lesivo dell’altrui personalità e professionalità, chiaramente riferite al datore di lavoro ed ai colleghi, nonché reiteratamente esprimendo, in più circostanze spazio-temporali, la propria posizione di critica e di condanna nei confronti dei medesimi soggetti. La descritta condotta deve, invero, ritenersi certamente idonea a pregiudicare il rapporto fiduciario necessariamente sotteso ad ogni rapporto di lavoro, ex art. 2119 c.c., non potendo il datore di lavoro evidentemente più confidare nel futuro corretto comportamento lavorativo di un dipendente che non ha alcuna stima professionale e umana del proprio responsabile e dei propri colleghi (come nel caso concreto)”. (Tribunale di Milano, sez. civile, Ordinanza 23 dicembre 2016, n. 34555)
E in tal senso ancora “La pubblicazione, da parte del lavoratore, di espressioni offensive e denigratorie della parte datoriale sul proprio profilo di un social network, in maniera visibile ad un numero indeterminato di persone, potenzialmente anche al di fuori dell’ambito aziendale, costituisce causa di licenziamento disciplinare. La descritta condotta, invero, in virtù della sua enorme potenzialità lesiva, è idonea ad integrare giusta causa di licenziamento, configurabile non solo nell’ipotesi di inadempimento contrattuale, ma anche in presenza di fatti e comportamenti estranei alla sfera del contratto, tali, tuttavia, da far venir meno quella fiducia che costituisce il presupposto essenziale della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. La gravità del fatto esclude, in tal caso, l’operatività della tutela di cui all’art. 18, comma 4, L. n. 300 del 1970, così come riformato dalla legge Fornero, in quanto applicabile nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato per un fatto rientrante tra le condotte punibili con una sanzione conservativa.” ( Tribunale Avellino, Sezione Lavoro- civile , Decreto 17 febbraio 2016, n. 3095)
Differenti sono dunque le attività dei lavoratori sulle piattaforme online che hanno portato all’applicazione di sanzioni disciplinari. Di diverso orientamento è stata invece la Cassazione Civile, sez. Lavoro, che con sentenza 31 maggio 2017, n. 13799 ha affermato che “È illegittimo il licenziamento irrogato al dipendente che critica l’azienda sulla propria pagina Facebook . La Cassazione conferma così l’orientamento giurisprudenziale sulle conseguenze sanzionatorie del disciplinare illegittimo, nel regime disciplinato dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla legge Fornero. Per il datore di lavoro, il contenuto del post era «oggettivamente diffamatorio, sia nei confronti della stessa società che nei confronti della legale rappresentante». Per la Corte, invece, nell’insussistenza del fatto contestato, in base all’articolo 18 modificato dalla Fornero, rientra anche l’ipotesi del fatto esistente ma non illecito.”
Le conclusioni, dunque, non sono di facile trattazione. Fondamentale sarà di volta in volta verificare che ogni condotta, di entrambe le parti, sia conforme alle normative in materia di privacy. Molteplici sono i fattori da considerare inoltre per ogni casistica, a partire dalla differente tipologia delle sanzioni previste dal CCNL di settore, il contenuto oggettivo della pubblicazione, la tipologia del mezzo usato per la divulgazione degli scritti o delle immagini ma, ad ogni buon conto, appare evidente che bisogna prestare la massima attenzione a tutto ciò che si pubblica sui social network, per non sfociare nella vera e propria diffamazione.